lunedì 21 luglio 2014

Garante privacy: maggiori tutele per chi usa Google


Le nuove regole del Garante danno 18 mesi a Google per adeguarsi.
Basta con l'utilizzo delle ricerche per "profilare" gli utenti a fini commerciali. Google potrà ancora farlo ma previo consenso.
Lo ha stabilito il Garante della privacy, assicurando maggiori tutele a chi usa i servizi o il motore di ricerca del colosso di Mountain View. Si è conclusa con un provvedimento prescrittivo - spiega una nota dell’Autorità - l’istruttoria avviata lo scorso anno dal Garante italiano dopo i cambiamenti apportati dalla società alla propria politica sulla privacy. Si tratta del primo provvedimento in Europa che - nell’ambito di un’azione coordinata con le altre Autorità di protezione dei dati europee e a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia europea sul diritto all’oblio - non si limita a richiamare al rispetto dei principi della disciplina privacy, ma indica nel concreto le possibili misure che Google deve adottare per assicurare la conformità alla legge. 
La società, infatti, ha unificato in un unico documento le diverse regole di gestione dei dati relative alle numerose funzionalità offerte: dalla posta elettronica (Gmail), al social network (GooglePlus), alla gestione dei pagamenti on line (Google Wallet), alla diffusione di filmati (YouTube), alle mappe on line (Street View), all’analisi statistica (Google Analytics) - procedendo quindi all’incrocio dei dati degli utenti relativi all’utilizzo di più servizi. Il Garante ha tuttavia rilevato che restano in piedi diversi profili critici in termini di inadeguata informativa agli utenti, di mancata richiesta di consenso per finalità di "profilazione", di tempi incerti di conservazione dei dati e ha dettato una serie di regole che si applicano all’insieme dei servizi offerti.
Google avrà 18 mesi per adeguarsi alle prescrizioni del Garante. In quest’arco l’Autorità monitorerà le modifiche apportate dalla società, che entro il 30 settembre 2014 dovrà sottoporre al Garante un protocollo di verifica: na volta sottoscritto il documento diverrà vincolante, sulla base del quale verranno disciplinati tempi e modalità per l’attività di controllo che l’Autorità svolgerà nei confronti di Mountain View.
di Franco Grilli (Giornale) 

sabato 19 luglio 2014

Denuncia choc di Vodafone: 'Sei Paesi hanno libero accesso ai nostri dati telefonici'

Sei “falle” su 29, dove 29 è il numero di Paesi dove opera Vodafone, il colosso della telefonia mobile. In 6 di questi però i governi hanno libero accesso alle telefonate dei clienti. Così, senza bisogno di un’autorizzazione da parte della compagnia o della magistratura, di un qualsiasi motivo per giustificare una simile interferenza,
che poi in realtà è una totale violazione della privacy. A rivelare la notizia è stata la stessa Vodafone, che però ha preferito mantenere il segreto sui nomi dei 6 Paesi in questione.
Tra i 29, ovviamente, c’è anche l’Italia. Che però in materia di accesso alle comunicazioni ha leggi molto dettagliate e severe, almeno sulla carta: da noi le richieste ufficiali di accesso ai tabulati solo nel 2013, e solo per utenze Vodafone, sono state oltre 600mila. Per fare un paragone, in Francia soltanto 3, sempre nel 2013 (la tabella è stata pubblicata oggi dal quotidiano inglese The Guardian). Ma allora, quali sono questi 6 Paesi? I sospetti sono puntati su quelle nazioni dove la legge vieta in modo netto non l’intercettazione, ma la rivelazione del numero di intercettazioni e il modo in cui vengono svolte. Come dire, divieto di divulgazione di queste notizie ai cittadini: quello che succede nella realtà non vi riguarda. I Paesi dove è in vigore questa norma sono 9: Albania, Ungheria, Malta, Turchia e Romania in Europa. Poi Egitto, India, Qatar e Sudafrica.
Il capo del team di avvocati di Vodafone ha spiegato che per le intercettazioni in questi paesi esiste una rete di cavi parallela a quella della compagnia, dove passano tutti i dati. “Noi chiediamo di fermare questo modello di accesso diretto alle telefonate, che secondo noi possono avvenire soltanto per motivi dettati da un’indagine giudiziaria” – ha dichiarato il legale al Guardian.
di redazione Thiene on line


giovedì 17 luglio 2014

QNAP presenta QGenie il mini NAS portatile 7-in-1


QNAP presenta QGenie il mini NAS portatile 7-in-1 per condividere file, ricaricare la batteria e condividere la connessione Internet.
il mini NAS portatile 6-in-1 per l’archiviazione e la condivisione di dati, con funzionalità di batteria esterna per la ricarica di dispositivi mobili, condivisione della connessione internet e molto altro. Grazie al suo design compatto, QGenie è tascabile ma allo stesso tempo offre potenti funzionalità per le esigenze degli utenti in mobilità.
QGenie è una soluzione NAS portatile che permette di ampliare lo spazio di archiviazione dei dispostivi mobili in modo flessibile e wireless. Gli utenti potranno ottimizzare così lo spazio di archiviazione mobile in base alle proprie necessità trasferendo i propri file su QGenie e liberando spazio dai propri dispositivi portatili per avere a disposizione più foto, musica ed applicazioni. Inoltre, grazie al servizio myQNAPcloud e le applicazioni mobile Qsync e Qfile, sarà possibile creare un cloud personale per salvare, accedere, sincronizzare e condividere tutti i file presenti nel QGenie in mobilità.
“QGenie accetta connessioni fino a 20 utenti, accesso simultaneo fino ad 8 utenti ed è perfetto per condividere file multimediali in mobilità o in automobile oppure file di grandi dimensioni in occasioni speciali con amici, parenti, lezioni in classe o meeting di lavoro senza dover inviare email e senza scambio di pennette USB” afferma HanzSung, product manager di QNAP. 
QGenie offre la possibilità di salvare e ripristinare la rubrica di dispositivi Android e iOS utilizzando l’applicazione mobile Qfile, mettendo così al sicuro le informazioni personali da possibili perdite di dati. Inoltre, nel caso in cui si acquisti un nuovo cellulare, non sarà più necessario inserire manualmente nomi e numeri di telefono in rubrica.
Con una batteria integrata da 3000mAh, un QGenie a carica piena ha un’autonomia di oltre 10 ore, sufficienti per un utilizzo giornaliero. QGenie può funzionare anche come batteria esterna per ricaricare i dispositivi mobile ed offre un Access Point (AP) wireless, per condividere la connessione Internet attraverso reti fisse, Wi-FI, tramite le funzionalità hotspot via smartphone oppure utilizzando una chiavetta LTE/4G/3G.
Quando collegato ad un PC o ad un Mac via USB 3.0, QGenie si trasforma in una unità SSD portatile ad alte prestazioni per il trasferimento di file ad alta velocità raggiungendo i 120MB/s in lettura e 40MB/s in scrittura.
QGenie funziona anche come dispositivo “satellite” quando abbinato ad un Turbo NAS. Gli utenti possono copiare file dal Turbo NAS a QGenie o viceversa con la funzione USB one-touch-copy ed accedere facilmente ai propri file utilizzando l’applicazione mobile Qfile. La gestione dei file è resa semplice dallo schermo OLED che mostra lo stato del sistema, incluso lo spazio disponibile, la carica della batteria, le connessioni wireless e molto altro ancora, fornendo cosi una migliore esperienza utente.
QGenie è compatibile con dispositivi Windows®, Mac®,iOS®eAndroid™, offrendo estrema flessibilità nello scambio e condivisione dei file.
Specifiche tecniche
CPU da 600MHz, 1 Porta USB 3.0, batteria integrata (3000mAh), SSD 32GB, 1 porta di rete LAN, supporto schede SD, schermo OLED.
Chi è QNAP
QNAP (Quality Network Appliance Provider) Systems, Inc., come dice appunto l’acronimo inglese, offre prodotti di rete di alta qualità per l’archiviazione dei dati (NAS) la video sorveglianza (NVR). QNAP offre le più recenti tecnologie di condivisione ed archiviazione dei dati, virtualizzazione e video sorveglianza che aiutano a risparmiare e ad aumentare l’efficienza delle aziende. Nella vasta gamma di prodotti offerti dall’azienda non mancano ovviamente le soluzioni sviluppate per il mercato dell’elettronica di consumo, con una linea di lettori multimediali di rete. Dalla propria sede di Taipei, QNAP continua a sviluppare con passione nuove ed innovative soluzioni per il mercato globale.QNAP è una multinazionale con sede a Taipei e filiali in Cina e negli Stati Uniti.

mercoledì 16 luglio 2014

Un clic su Google per dimenticare il passato scomodo

Il motore di ricerca si piega alla Corte europea e mette on line un modulo per chiedere di fare sparire i link su notizie circolate per sbaglio, foto osé, errori di gioventù. Ma è polemica.
Forse non tutti sanno che le sue origini risalgono agli anni Cinquanta. A quell'epoca circolava un lungometraggio in cui si narrava la storia di Pietro Caruso, ultimo questore di Roma dell'epoca fascista, condannato alla pena capitale.
Nel film si faceva cenno al coinvolgimento di Caruso nella stesura della lista dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Episodio ritenuto non completamente veritiero dalla vedova del questore che, ricorsa in giudizio, dopo tre gradi (Tribunale, Corte d'Appello e Cassazione) ottenne, appunto a metà degli anni Cinquanta, che il defunto marito fosse «dimenticato» riguardo quell'evento storico.
Nasceva il diritto all'oblio (di cui si è parlato l'altro ieri durante un convegno organizzato dallo Studio Legale Munari Cavani, relatori gli avvocati Alessandro Munari e Alessandra Fossati, all'Istituto Cinematografico «Michelangelo Antonioni» di Busto Arsizio). Quello che oggi è tradizionalmente legato al mondo della rete. Dalla quale arriva una grande novità: da un paio di giorni, infatti, Google (il principale motore di ricerca) permette a chiunque (in ossequio della storica sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio scorso secondo la quale il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati sensibili anche se i contenuti sono di fatto pubblicati da altri) di chiedere la rimozione dei link ritenuti lesivi attraverso un modulo online. Un esempio: una persona, che chiameremo M., assiste ad una rapina e viene interrogata dalle forze dell'ordine come soggetto informato sui fatti. M. potrebbe finire, con tanto di foto, sui giornali ed essere indicato come probabile complice. A distanza di anni digitando il proprio nome su Google, M. trova gli articoli che raccontano la vicenda: Internet non dimentica e la reputazione del signore in questione risulta indelebilmente macchiata.
Fino a qualche giorno fa M. aveva una sola soluzione: contattare un avvocato e, attreverso il legale, chiedere alla testata (peraltro a tutt'oggi obbligata a procedere ad un aggiornamento della notizia e, dunque, dare conto dell'estraneità del soggetto citato) di aggiungere una rettifica e rimuovere l'articolo dall'indicizzazione dei motori di ricerca. Una procedura lunga e costosa che scoraggerebbe chiunque. Ora però c'è un'altra opzione. Almeno in Europa: il colosso di Internet deve assicurarsi che nessuno possa rintracciare informazioni lesive della privacy di qualcuno, mentre i contenuti a cui rimandano (articoli di giornale, foto, video, eccetera) possono rimanere online. Ecco quindi che da Mountain View hanno predisposto un modulo attraverso il quale i cittadini europei possono richiedere la rimozione di link dai risultati di ricerca. Il funzionamento è semplice, anche se arrivare al formulario è piuttosto macchinoso. Bisogna fare così: digitare l'indirizzo «http://support.google.com/legal», scegliere la voce «Ricerca Google», poi cliccare su «Vorrei rimuovere le mie informazioni personali dai risultati di ricerca di Google» e infine su «Vorrei richiedere la rimozione di alcuni contenuti che mi riguardano e che vengono visualizzati nei risultati di ricerca di Google in violazione delle leggi sulla privacy europee». Finalmente la guida ci darà il link al modulo agognato (cliccare sull'ultimo «qui»). A questo punto basta seguire le istruzioni. Al tutto è necessario la copia di un documento di identità, passaggio necessario onde evitare che qualcuno possa chiedere la cancellazione del link al posto di un altro.
La rimozione non sarà automatica: data la complessità dell'argomento, ad esaminare la richiesta sarà lo staff di Google che promette di bilanciare il più possibile «il diritto alla privacy con quello all'informazione». «Stiamo creando un comitato consultivo di esperti che analizzi attentamente questi temi», spiegano da Mountain View, «Inoltre, nell'implementare questa decisione coopereremo con i garanti della privacy ed altre autorità». Saranno cancellati quindi solo i link che «includono informazioni obsolete» e quelli che non hanno «informazioni di interesse pubblico». Resteranno indicizzati invece i contenuti che, ad esempio, «riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali». Alla procedura non sono mancate le critiche, a partire da quelle mosse dalla stessa Google e da altre società del web preoccupate dall'eventuale limitazione delle libertà di espressione e di informazione. L'amministratore delegato e co-fondatore Larry Page dice chiaramente che la sentenza potrà essere sfruttata «da regimi repressivi ed autoritari, per cancellare informazioni utili ai cyber dissidenti».
di Clarissa Gigante (Giornale)


martedì 8 luglio 2014

Tassa occulta su computer e smartphone, altra stangata


Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del ministro Franceschini che adegua le quote per l'equo compenso nella copia privata.
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali, Dario Franceschini, che adegua le quote per l'equo compenso nella copia privata. E per i consumatori si prospetta una vera e propria stangata: non proprio ciò che serve all'economia italiana piegata da anni di domanda interna negativa. Il risultato infatti è che attraverso una tassa occulta si pagheranno fino a 5,2 euro in più per acquistare uno smartphone, 4 euro per un televisore, fino a 9 euro su chiavette Usb e fino a 32,20 euro per ogni computer e hard disk.
L'equo compenso è dovuto ai detentori di diritto d'autore e si applica su dispositivi contenenti una memoria. Il decreto è un intervento che aggiorna le quote per la cosiddetta "copia privata", ovvero gli importi che secondo una legge del 2003, derivata da una direttiva Ue, devono essere applicati, a spese dei fabbricanti e degli importatori, alle memorie di massa. E cioè oggi in particolare smartphone, tablet e computer, ma anche chiavette usb e dvd. Il testo prevede quindi che queste quote, più alte in altri Paesi rispetto al nostro, salgano quindi anche in Italia. Passando - per il prossimo triennio - dagli 0,90 euro per gli smartphone agli 1,90 euro per i tablet, fissati nel 2009, a tariffe modulari che vanno da un minimo di 3 euro per dispositivi fino ad 8 Gb di potenza, a un massimo di 4,80 euro oltre i 32 Gb, 5,20 per i computer. Una misura che non va giù ai consumatori, che temono rincari mentre è accolto con favore da Siae, Confindustria Cultura e Audiocoop, con musicisti, autori ed esponenti della cultura.
«L'ennesima stangatina del governo, dopo l'aumento delle aliquote fiscali dal 20 al 26% sul risparmio, sta per abbattersi sui consumatori finali», scrivono in una nota congiunta Elio Lannutti, presidente di Adusbef e Rosario Trefiletti, presidente di Federconsumatori a proposito del cosiddetto "equo compenso". Una misura che, secondo i consumatori, andrebbe ad alimentare «il carrozzone Siae». Sull'elettronica di consumo graverà un gettito di circa 160 milioni di euro nel 2014, - spiegano - che andranno ad alimentare le casse Siae ed un aggravio del 150% rispetto al 2013, oneri che ricadranno sui consumatori finali già vessati da prezzi e tariffe tra i più elevati dei Paesi Ue, su servizi bancari, assicurativi, petroliferi». Adusbef e Federconsumatori continuano a denunciare «uno stillicidio infinito di rincari, che intacca il potere di acquisto delle famiglie ed impedisce l'auspicata ripresa dei consumi, ancora al palo per il gioco di prestigio del governo Renzi, che con una mano eroga 80 euro ad alcuni (ma non a tutti), con l'altra si riprende con gli interessi la sbandierata elargizione che riguarda la generalità delle esangui famiglie italiane».

sabato 5 luglio 2014

Attenti allo stand by: televisore, computer e decoder, quanto costa la "luce rossa"

Siamo nell'era del web 2.0, nell'era della connessione perenne con il mondo attravero internet dove non essere un nodo tra i nodi, ci porta ad essere tagliati fuori. Ecco in quest'era la dipendenza dalla connessione porta anche ad una dipendenza da tutto ciò che è elettronico, e quindi non si spegne più nulla. Niente, neanche la lavastoviglie, la tv e i termosifoni. "Il guaio spiega uno studioso dell'Iea, Agenzia internazionale dell'energia, è che attualmente sono attivi la bellezza di 14 miliardi di dispositivi connessi e in standby", ovvero sempre pronti ad entrare in azione anche se apparentemente spenti.
L'indifferenza - Se il monitor della Tv è spento o chiudiamo il portatile senza disconnettere il dispositivo, siamo con la coscienza a posto. Siamo nella convinzione che spegnerlo del tutto ci costerebbe più fatica che pagare una bolletta più cara. La maggioranza degli oggetti collegati ad una rete consuma più o meno la stessa quantità di energia, che siano in standby o in funzione. Secondo la Iea nel 2013 sono stati consumati per essere sempre connessi 616 TWh (Tera Watt pra) di elettricità, per lo più per dispositivi in standby. Lo studio calcola che 400 TWh - equivalente all'elettricità consumata in un anno da Gran Bretagna e Norvegia - sono stati sprecati per colpa di tecnologie inefficienti.
I numeri - Il quotidiano La Stampa ha ripreso i dati della Iea e ha provato a calcolare gli sprechi. Il costo nella bolletta di questo spreco dovrebbe essere di 80 miliardi di dollari , 59 miliardi di euro, e si prevede che saranno 100 miliardi nel 2030. In realtà le soluzioni per risolvere il problema ci sono. Come spiega il direttore esecutivo della Iea Maria van der Hoeven "se adottiamo le migliori tecnologie disponibili , saremo in grado di minimizzare il costo per soddisfarre la domanda e accrescere i vantaggi dei dispositivi collegati". Oppure basterebbe tagliare il consumo di energia di dispositivi in standby di almeno il 65 per cento. "Uno smartphone - riporta La Stampa - per essere connesso richiede solo 0,5 mW. Un televisore acceso ha bisogno di 30 Watt (ovvero 60 mila volte in più), una in standby ben 25 Watt (50 mila volte). Un decoder, ad esempio, usa 16 W acceso e 15 spento. Dunque, secondo alcune stime, per una famiglia media lo spreco dello standby costa 80 euro l'anno.
da Libero Quotidiano