lunedì 30 giugno 2014

Microsoft Azure sarà disponibile nei listini Open Licensing dal 1° Agosto 2014


A partire dal 1° Agosto 2014 Microsoft Azure sarà disponibile nei listini Open Licensing. Questa è una novità che cambia il modello di business attuale e ti consente di accedere a nuove opportunità e vantaggi.
Come probabilmente saprai, Azure è una piattaforma cloud estremamente potente e flessibile che consente di compilare, distribuire e gestire rapidamente applicazioni attraverso una rete globale di data center gestiti da Microsoft. È possibile compilare applicazioni utilizzando qualsiasi linguaggio, strumento o framework ed integrare applicazioni cloud pubbliche con l'ambiente IT esistente.
Fino ad oggi i clienti hanno potuto comprare il prodotto esclusivamente da Microsoft, dal sito dedicato ad Azure o come parte di un Enterprise Agreement; a partire da Agosto, invece, tutti i Partner potranno acquistarlo direttamente dal proprio Distributore di fiducia e poi rivenderlo ai propri clienti, gestendo in prima persona la relazione.
Per prepararti a questo grande cambiamento abbiamo organizzato un virtual training di un’ora che ti permetterà di approfondire il nuovo modello di licensing e acquisire le conoscenze necessarie per sfruttare al meglio questa grande opportunità. Inoltre, il team Azure di Microsoft Italia illustrerà gli scenari di vendita più comuni e i trend più importanti del mercato dei servizi cloud.

sabato 28 giugno 2014

Questo non è un Paese per la tecnologia

Dal canone Rai per chi ha un pc all'equo compenso, passando per la banda larga e la scuola, ecco perché siamo il fanalino di coda per innovazione e alfabetizzazione digitale.
Agenda digitale, rilancio dell'economia, investimenti per far ripartire le imprese, tante belle parole su banda larga e alfabetizzazione digitale.
Parole, appunto. Perché la realtà è un'altra: siamo il fanalino di coda per innovazione e uso della tecnologia.
A marzo il 34% degli italiani non aveva mai usato internet (contro l'8% del Regno unito).
Ormai nel 95% del territorio è possibile connettersi a una velocità considerata sufficiente, ma appena la metà delle famiglie paga un abbonamento. Certo, gli smartphone sono ormai diffusi, ma forse sono più uno status symbol che uno strumento utilizzato nelle sue piene potenzialità. E se questo non bastasse nella scelta della scuola gli istituti tecnici hanno ancora una pessima fama e sono considerati più un posto verso cui indirizzare i meno volenterosi che un volano per una nuova manodopera iperspecializzata che faccia da volano all'industria.
E in questo scenario - che per fortuna vede anche qualche piccolo polo di eccellenza - il governo che fa? Parla bene e razzola male. A parole mette l'agenda digitale al centro del proprio programma, promette semplificazione e meno scartoffie, ma "punisce" chi ha dispositivi tecnologici. Pensiamo al cosiddetto equo compenso: basta avere un qualsiasi supporto di memoria digitale per diventare dei pericolosi criminali pronti a piratare contenuti coperti da copyright. Sì, lo sappiamo: la norma parla di "copia privata", perfettamente legale se si è acquistato ad esempio l'ultimo album del nostro cantante preferito. Ma la tassa resta una sorta di pena preventiva per un reato che non è affatto detto che commetteremo. Lo dice pure il ministero in uno studio commissionato prima che Franceschini firmasse il decreto: solo 13 italiani su 100 preferiscono salvare su un secondo dispositivo libri, cd, dvd e quant'altro.
Ma in questo caso i consumatori non dovrebbero preoccuparsi più di tanto: con tutta probabilità l'aumento delle tariffe ricadrà sui produttori. Non tanto sui grandi - cosa vuoi che siano per Apple 4 euro a telefono - quanto sulle piccole imprese e sull'indotto per un totale di 157 milioni di euro all'anno rispetto ai 63 versati nel 2013 nelle casse della Siae. Quasi un quarto di quello raccolto nell'intera Europa (600 milioni), anche considerando che in alcuni Paesi le tariffe sono ben superiori.
E sempre sulla pelle delle imprese vuole far cassa pure la Rai. La loro colpa? Possedere un pc (ma trovateci un qualsiasi titolare di partita Iva che oggi non abbia almeno un computer intestato). Anche in questo caso si può parlare di "pena preventiva": solo per il fatto che il dispositivo può essere usato per trasmettere i programmi Rai, deve pagare il canone al pari, per intenderci, di bar e ristoranti che hanno in sala un televisore. Una mossa che un paio d'anni fa era stata tentata - e subito bloccata - anche per i privati.
E non dimentichiamo la famigerata Google Tax, che costringerebbe i colossi dell'informatica ad avere una partita Iva italiana e che con tutta probabilità limiterebbe gli investimenti nel nostro Paese.
Insomma, sembrerebbe che questo non sia affatto un Paese per la tecnologia. Del resto, ci ritroviamo come ministro della Cultura quel Dario Franceschini che al Ceo di Google che "bacchettava" l'Italia perché non spinge i ragazzi a studiare informatica e "non forma persone adatte al nuovo mondo" ha risposto: "In ogni Paese ci sono vocazioni_ magari un ragazzo italiano sa meno di informatica ma più di storia medievale e nel mondo questo può essere apprezzato. Un ragazzo italiano ad esempio potrà andare negli USA a insegnare storia medievale e uno americano potrà venire qui a insegnare informatica". E pensare che, come ricorda il giornalista Rai Michele Mezza nel suo "Avevamo la luna", tra il 1962 e il 1964 l'Italia aveva la possibilità di dettare legge nel mondo per quanto riguarda la tecnologia.
di Clarissa Gigante (Giornale) 

venerdì 27 giugno 2014

Pc, chiavette e cellulari: come scatta l'obolo Rai

Basta possederli per finire nel mirino di Viale Mazzini. "Esenti" i videocitofoni.
Tranquilli, il videocitofono non paga. Mamma Rai, dopo le passate polemiche, lo mette addirittura per iscritto, come se qualcuno avesse l'abitudine di sistemarsi in poltrona davanti alla porta di casa a guardare i Mondiali, magari maledicendo il postino che bussa due volte e ci interrompe l'emozione. 
Il fatto che la tv di Stato arrivi a specificare l'esenzione del videocitofono dal canone la dice lunga sulla pervicacia con cui la tv di Stato ha esaminato ogni possibile apparecchio «atto alla ricezione della radiodiffusione». E non certo perché in viale Mazzini abbiano la passione per i gadget. In Rai il motto è di tutto, di più, pur di far pagare il maledetto abbonamento. A chiunque. E nella tabella pubblicata sul web si includono tra i paganti non solo tv e computer che ricevono effettivamente il digitale terrestre, ma anche quelli solo «adattabili alla ricezione». Ed ecco che il giro si allarga: basta ad esempio avere una «chiavetta usb con sintonizzatore», vedi quella distribuita agli abbonati Sky, un aggeggio che infilati nella giusta presa del pc consentono di vedere gli agognati canali Rai. E se non hai un pc in cui infilare la chiavetta? Non puoi guardare i programmi ma fa nulla: paghi lo stesso. L'unico limite è la fantasia, tanto si sa: per le nostre istituzioni il cittadino è sempre al di sotto di ogni sospetto. Le prossime vittime potrebbero essere i tassisti e gli automobilisti in genere. Se guidare guardando la tv è, ovviamente, vietato, è possibile installare in auto dei piccoli schermi dotati del ricevitore del digitale terrestre, per cui soggetti a canone, che dovrebbero spegnersi quando si mette in moto l'auto. Sono tv da sette pollici che si comprano con cento euro e si collegano alla batteria dell'auto e vengono via con neanche cento euro, cioè meno di quanto i proprietari potrebbero essere chiamati a pagare alla Rai ogni anno.
C'è poi il capitolo cellulari. Ormai ci si può guardar su praticamente qualsiasi programma tv. Le case più note hanno un po' messo da parte l'idea del videofonino che riceveva il digitale terrestre, ma si trovano ovunque in Italia linee di smartphone cinesi che hanno una funzione apposta per usarli come alternativa alla tv. Alla Rai faranno il tifo perché sbaraglino l'iPhone: con 70 milioni di sim attive si potrebbe arrivare al vero sogno dei vertici del cavallino: ogni testa, un canone.
Il vero nodo è un altro: la normativa che regola il canone è antiquariato, rispetto allo sviluppo delle nuove tecnologie. Il modo più efficiente, dopo l'apparecchio tv, di vedere i canali Rai è attraverso il web. Usando «l'app» della Rai con un tablet si possono guardare i programmi e anche pezzi d'archivio con fantastiche trasmissioni del passato. Eppure a chi fruisce in questo modo dei servigi di Mamma Rai non è richiesto il pagamento del canone: un paradosso. Almeno per ora. Chissà che Gubitosi non ci stia pensando. Così potrebbe chiedere di sborsare anche a chi si collega dal Giappone o dall'America. Allora sì che sarebbe Rai World.

di Giuseppe Marino (Giornale)